Narrazioni | Riflessioni

O retorno.

venerdì 3 maggio 2019
 Certe cose alle tre di notte non le vedi perché nel tuo prossimo futuro c’è solo il TUO bagno con la TUA doccia e il TUO bidet e, subito dopo, il TUO letto. Già deambulare tra questi spazi con tutta la giornata addosso sembra un impresa che nemmeno Vasco Da Gama…ma siamo avvantaggiati dalla consuetudine: il mignolo del piede sa come evitare lo spigolo del letto e le mani trovano gli asciugamani anche con gli occhi chiusi, come se aprendoli potessimo perdere spiccioli di sonno prezioso.
Già, gli asciugamani. Ce n’è una collezione appesi al muro. Non ci faccio caso ma capirò poi che il cestello della lavatrice incute ancora un certo timore, più che caricare di peso extra quei poveri ganci con relativo crollo.

Poi piombi sul letto e chiss’èvistos’èvisto…
Passano 10 minuti e suona la sveglia. Sono passate in realtà 5 ore, fuori c’è luce la città funziona come al solito ma per noi sono passati 10 minuti perché la sensazione di riposo è quella : testa pesante, movimenti lenti, muscoli un po’ rigidi. La valigia aperta per terra mi geolocalizza a casa e si palesano immediatamente tutte le lavatrici da fare. Non solo le mie, Senior Junior e Mignon hanno abitato saltuariamente questa casa come un ostello, ma magliette e pantaloni stanno lì appallottolati, un po’ nella cesta un po’ fuori, a implorare acqua e detersivo. Mi ricordano molto le lavanderie a gettoni. A riprova dell’essere un ostello.

Ancora traballante raggiungo la cucina sempre seguendo la mia vocina interiore “scendi 24 gradini e poi, all’incrocio svolta a sinistra. La tua destinazione è raggiunta.”

Alzo le tapparelle. Non riesco a fare colazione senza vedere fuori, mi manca l’aria. E, sopratutto, non mi sincronizza con la vita: mi piace invece sentire che i miei movimenti fanno parte di ciò che succede anche fuori. Sorrido nello sforzo immane (il corpo è ancora a letto) e mi sento a casa.
Che bello!
Spesso viviamo situazioni che si valorizzano nel loro opposto: godiamo a togliere gli scarponi perché prima abbiamo goduto sulla neve o sui sentieri; godiamo l’ombra perché abbiamo goduto il sole; godiamo la pace perché prima abbiamo goduto la festa…ecco io alzando le tapparelle avevo, si, male alla spalla ma godevo la casa, la mia cucina perché  ho goduto, molto, il viaggio appena concluso.

In questa beatitudine un po’ assonnata ecco che trovo i segni di chi è passato all’ostello mentre io visitavo chiostri e monasteri o sferragliavo di notte col tram n.28.

La tovaglia è piegata a metà tavolo, segno che qui hanno pranzato al massimo in tre. Ma le briciole hanno l’aria vissuta, credo che avrebbero molto da raccontare. Apro il frigo col solito gesto automatico e sento che la mia espressione ricorda vagamente l’urlo di Munch. Desolazione, sarebbe il titolo per questo quadro. Un mezzo porro, un sacchetto vuoto di mozzarelle bio giace accartocciato e umiliato: essere bio gli dava un certo charme, adesso è solo plastica. Una ciotola di insalata imbalsamata sta lì senza vita; una ciotolina  ospita un liquido non ben identificato: albume antidiluviano? olio preistorico da scolatura di tonno in scatola? Per fortuna non fa odore! Un contenitore da banco frigo che non riconosco (sono stati in un altro supermercato quindi..) conserva tre strani frutti neri. Li guardo dubbiosa: frutta esotica? macché, l’etichetta dice susine. Sorvolo sul paese di origine e penso che i ragazzi stanno bene: ne manca solo una.  Un altra ciotolina al piano superiore se ne sta lì in disparte, la prendo con cautela, viste le premesse chissà cosa c’è dentro.
Nulla. Vuota. Sembra addirittura pulita. Tiro un sospiro di sollievo, non  mi faccio troppe domande e la metto da lavare. Il resto sono i soliti sparuti vasetti che durano nel tempo.  Ok, capito, oggi devo fare la spesa.
Mi giro e faccio per prendere il mio kiwi. Sembrano mummie. Ma fedeli mi hanno aspettato ed essendo naturali, pur morbidi e grinzosi, sono ancora buoni, solo un po’ disidratati.
Mi siedo col mio muesli e mi guardo intorno prendendo piano piano consapevolezza dei piccoli segnali lasciati dai miei tre Pollicini: il mio bel grembiule è diventato uno strofinaccio, lo strofinaccio invece è piegato in un angolo ormai secco. La lavapiatti è carica. Stracarica. Non ce la fa più. Non un micron per aggiungere un cucchiaino. Sarebbe tutto pronto ma chissà perché quell’ultimo gesto risolutivo di mettere il detersivo e farla partire è rimasto sospeso, nel vuoto, in attesa…
Nel portatorte, abbandonato, l’ultimo pezzetto di colomba difende strenuamente i suoi zuccherini, ma non avendo più mandorle ha perso molto appeal.
I fiorellini di campo del mio compleanno (10 gg fa) sono ancora nel vasetto: che belli!, penso, dimenticando che non ho gli occhiali, e infatti come li prendo per buttarli via si sbriciolano in un pulviscolo giallo di petali e polline.
Sulla panca un biglietto mi racconta che tra fratelli si chiedevano e davano compiti di sopravvivenza e che se si erano salvati dalle susine ogm non si erano risparmiati abbondanti kebab.
Ma l’ultimo segnale che in questi giorni erano sopravissuti alla grande  mi viene da un foglietto mimetizzato tra le briciole anziane sulla tovaglia. E’ evidente che era accartocciato, è stato poi stirato a mano , recuperato e scritto.
Dice “Buon viagio puseta”
Riconosco benissimo chi l’ha scritto e a chi, ma in quelle tre parole con un cuore finale eccheggiano le risate, la libertà, l’intima fraternità, e tutte le cose che non saprò mai di questi giorni.
E rido e sorrido. Sono tornata a casa.
E’ andato tutto bene.

 

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