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Dietro le quinte

lunedì 11 settembre 2017

Parte prima.
Un po’ di suspance.
Non esageriamo, un’ introduzione.
Perché un conto è cercare un artigiano, un conto è trovarlo, un altro conto è incontrarlo e infine raccontarlo. E tralascio i passaggi intermedi…
Non è una di quelle cose che si fanno così, in modo logico e ripetitivo, ma sono tanti anelli da incatenare, e non è detto che la sequenza sia sempre la stessa.
Per  Mariuccia per esempio ci ho messo un po’ di tempo, almeno sei mesi. L’idea mi è venuta così, da sola, mentre parlavo con Mario Brunel (“l’ultimo pintor” ricordate?) . E’ sbocciata non ricordo nemmeno come, e l’ho proposta lì in cucina mentre ormai lo stavo salutando ” Ma Mario” chiesi “chi confeziona i costumi fassani?”.
Ho pensato ai fassani perché ero in Val di Fassa, ma la domanda vale per qualsiasi valle o località che ancora conserva la tradizione.

“Chi li cuce? E perché sono fatti così?” . La risposta di Mario subito mi smonta “Ah ormai li comprano tutti a Bolzano o Merano…” Che delusione! Allora,   in modo vago , un po’ perché forse non lo sapeva davvero bene, un po’ per proteggere dalla mia curiosità cittadina e invadente una sua conoscente e compaesana, Mario aggiunge  un indizio prezioso: quella palazzina di fianco alla falegnameria, lì sulla curva, tra la strada e il fiume. La sarta un tempo abitava lì.
Ci sarò passata milioni di volte, ma essendo là da una vita quella palazzina era un’immagine in 2D, una fotografia, un immagine … ma adesso!!!
Da quel giorno ci sono passata davanti e dietro non so quante volte, chiedendomi come potevo presentarmi ed entrare, respirando il profumo dei tronchi resinosi e bagnati della falegnameria affianco, sperando di vedere dietro le finestre una probabile sarta.
Ma nulla. Tutto era fermo come in attesa.
Sono passati i mesi, volati, incredibilmente volati. Nel frattempo abbiamo dovuto chiedere al falegname-carpentiere di lì  una consulenza per il già a voi noto Villino (vedi “Ufficio Cornicette”) ma la cosa era poi caduta lì e non mi era nemmeno venuto in mente di chiedere a loro se la conoscevano.
Passa altro tempo. E tutte le volte che percorro quella curva la palazzina mi sorride e mi dice ” Aspetta…pazienza!”.
Una sera vado a messa con papà e seduta sui banchi stretti di legno consunto mi brilla in mente che lui conosce una valligiana che forse mi può aiutare. Finisce la funzione, termina l’ultimo canto , aspettando osservo Lidia che sparecchia l’altare e spegne le ultime candele: questa semplice chiesetta di pietra e legno è casa sua, un ultimo inchino, rituale ma sincero, e viene da me.
Parlando quasi sottovoce le chiedo della sarta e i suoi brillanti occhi neri si illuminano ” Ma certo! Mariuccia! ” E mi spiega che lo faceva lei, che non sa se li fa ancora, che era bravissima, che ha sposato il falegname , che abita lì, e cerca di ricordare i legami e le eventuali parentele con la mia famiglia paterna.
Esco dalla chiesa e il sole del tramonto illumina il mio sorriso.
Passa ancora qualche giorno prima che trovi il coraggio di andare e provare a suonare il campanello ma ormai il tempo era maturo e , da sola ma con tanta faccia tosta, mi incammino.
C’è il sole ma fa fresco, ormai è fine agosto scatto qualche foto per stemperare il timore e l’imbarazzo, ma la curva non è lontana da casa mia e, ma sì dai…proviamo! che sarà mai?? male che vada andrà buca!!
Il primo problema è il campanello. Non c’è . E io so solo che si chiama Mariuccia. O Mariella. panico: non me lo ricordo…
Allora entro nell’ ufficio del falegname , che in realtà è una vera e propria impresa di costruzioni in legno, e chiedo se conoscono una certa signora sarta… che fa i costumi tradizionali.. perché io ne ho uno da aggiustare (l’ ho comprato al mercato ma non è un vero costume, la stoffa è di qui, ma in fondo è solo un modo per rompere il ghiaccio…)
Un attimo di silenzio, i due si guardano circospetti, poi decidono di fidarsi, finché la segretaria dice “Ma si, è la Mariuccia, dai accompagnala di sopra”
Timidamente seguo il ragazzo , sono emozionata : ho varcato il ponte levatoio della (comprensibile) diffidenza !
“Ecco abita qui” , mi indica un campanello da suonare e se ne va.
Comincio a sospettare che la signora Mariuccia faccia un po’ paura, incuta timore… o forse non vuol essere responsabile ai suoi occhi di aver svelato l’ accesso.
Nella penombra del pianerottolo non leggo nemmeno bene il nome… indugio qualche secondo ma ormai sono li e premo. Piano. Inconsciamente spero non suoni anche se ormai sono a un passo dall’incontro tanto desiderato. Non si sente nessun suono all’interno, né di campanello né di anima viva.
Che faccio? Riprovo? Magari è in bagno e insistere può essere scortese. Magari non ha sentito. Magari non c’è. Magari non aspetta nessuno e non ha intenzione di aprire.
O magari semplicemente non ho premuto bene e non ha fatto contatto.
Ok, riprovo. Comincio ad avere un po’ caldo… Riprovo e premo un pochino più forte. Silenzio. Vabbè…aspetto un attimo poi vado… si vede che non è il momento.
Sto per girarmi verso le scale quando la porta si socchiude, poco, quel tanto per intravedere metà viso di una signora che, sospettosa, prima ancora di chiedermi chi sono mi guarda interrogativa.
E adesso cosa dico per presentarmi? Al suo posto forse non avrei nemmeno aperto in effetti…
“Mi scusi signora…mi hanno detto che lei è sarta..me l’ha detto Lidia (un nome amico forse aiuta) …mi chiamo Bernard, Bernard Pemé (Pemè è il soprannome che identifica la mia famiglia, più del cognome stesso) … la porta si apre un po’ di più e vedo il viso di Mariuccia per intero anche se dando le spalle alla luce non è ben illuminata…proseguo con la storia del vestito…sorrido…finché qualcosa le fa decidere di darmi fiducia e apre.
“Bon, venga venga dentro. Anche se io non lavoro più. Ma che vestito è?”

Così è cominciata la mia storia con Mariuccia. Nella piccola ma avvolgente cucina di casa sua, con le finestre sulla curva della strada percorsa tante volte, con la porta che si apre e si chiude spesso per accogliere un figlio (quello che ci aveva fatto la consulenza da falegname!!) una figlia (che  scrive su una bellissima rivista on line che si chiama Gana) , un nipote, una cugina…fino a farmi dimenticare quasi perché ero li, tanto da dover prendere un’altro appuntamento con tanto di strudel fatto da me per farglielo assaggiare e criticare : Mariuccia ne fa otto per volta e non lo assaggia mai tanto è ambito! E gli porto anche l’albero genealogico perché a lei piacciono tanto e servono a collocarmi nel panorama della valle.

 

Lo strudel ha superato l’ esame ma in quel porto di montagna che è casa sua non sono ancora riuscita a farmi raccontare tutta la sua storia, o meglio siamo arrivate ai suoi 20 anni, sposa e poi madre di 6 figli, che ha sempre lavorato per comprarsi il pane necessario. Dai suoi racconti emerge una musica di tempi passati ormai, tempi faticosi ma gioiosi, nei suoi grandi occhi vigili qualche volta scappa uno sguardo nel ricordo per poi tornare attento e presente ogni volta che arriva qualcuno. Le sue mani accarezzano e distendono il centrotavola di stoffa come fanno sempre le sarte sovrapensiero : a mano tesa lo distendono e col dorso del pollice lo piegano, avanti e indietro , gesti consueti che aiutano la memoria a raccontarsi.

Come per Mariuccia , anche le storie di Karin , Giovanni, Gabriele sono lì che passo passo aspettano il loro momento.
Per raccontarli devo entrare nel loro animo oltre che nel loro laboratorio e ci vuole tempo e delicatezza, rispetto e gentilezza…bisogna lasciarsi condurre… saper aspettare ma anche non aver timore: il cuore di un artigiano protegge le sue creazioni ma è anche coraggioso, e apprezza chi lo ascolta .

Abbiate pazienza con me… stanno tutti arrivando!

P.S. date un’occhiata alla rivista on line : www.ganamagazine.it , fresca, pulita, interessante, varia…perché no? anzi : perché SI!!

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