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Quel sorriso.

giovedì 11 novembre 2021

Sveglia presto, tutto era pronto dalla sera prima, niente colazione, abiti da cammino e zaino in spalla. Poche parole trattenute da un’emozione sottopelle in una curiosa atmosfera di concitata calma: c’era tutto il tempo per arrivare in stazione ma avevamo fretta. Eravamo in quel momento in cui bisogna fare il salto: pronte…via! Il traffico della città era occupato a trasportare persone indaffarate mentre noi, come insolite pendolari, viaggiavamo sul tram. Cappuccino e brioche per salutare abitudini comode e confortanti, non sapevamo che non li avremmo rimpianti affatto.
La stazione al mattino presto è comunque un luogo di lavoro anche in estate e i nostri zaini, la nostra guida stonavano con le ventiquattrore e i tacchi a spillo. La stazione a tutte le ore dell’anno è quel porto senza attracco anche per chi non ha destinazione e vaga alla ricerca di anonimato o di un aiuto. Difficile dimenticare gli occhi spenti di quel giovane e magrissimo ragazzo in difficoltà, pericoloso più forse negli sguardi altrui che nella realtà. Chissà…che storia alle spalle, che scelte giuste o sbagliate…chissà cosa farei io al suo posto…
Arriva il treno e interrompe i miei pensieri lasciando le domande come ferite irrisolte.
Sui sedili comodi e prenotati comincio a focalizzare bene cosa ci aspetta oggi: qualche ora di treno, qualche cambio e poi finalmente a piedi. Il nome del paese di partenza non si vuole fissare in mente, ma so che le zie G. e L. hanno ben chiaro tutto il percorso, almeno sulla carta! Salbertrand (ecco il nome!) arriva dopo le città, dopo la pianura, dopo la Sacra di san Michele che vigila austera sulla valle, dopo le prime alture nelle quali si incunea la ferrovia e la tanto discussa TAV. Salbertrand è la stazione d’arrivo e il nostro punto di partenza. Scendiamo noi e un giovane che svanisce nella luce del meriggio. Stazione deserta. Il treno scappa veloce e ci lascia lì, nel silenzio delle finestre chiuse delle case, dei giardini deserti, delle strade vuote. Chiediamo a un postino spuntato dal nulla dov’è via Rey: mai sentita. Molto bene. Chiediamo a un muratore col suo panino: mai sentita, ma l’accento non è proprio indigeno. La Dora Riparia, caro ricordo del sussidiario di geografia, scorre fresca verso valle… ma noi dobbiamo salire. Cerca, leggi, ridi e osserva ed ecco la segnaletica GRV, Glorioso Ritorno dei Valdesi! Dapprima è una strada sghiaiata, poi lentamente l’erba e la terra prendono il sopravvento e la salita dolcemente sale. Il silenzio del paese svanisce nell’ombra del bosco, la brezza e i raggi di sole tra i rami giocano e accompagnano i passi: le gambe si devono abituare e il fiato cambia ritmo. Le zie parlano mentre io osservo questo bosco alpino diverso dal “mio” bosco dolomitico, non solo per le piante e i fiori ma anche per ruderi di antiche case che raccontano lavori e fatiche di un tempo. Muri sberciati, finestre vuote, tracce di stanze e focolari emergono fieri e protetti dalla vegetazione mentre di tanto in tanto si aprono tra le fronde panorami mozzafiato. Qui i valdesi camminavano d’inverno, col freddo la fame e la paura mentre io taccio di stupore per la bellezza. 
Come ci fosse un confine invisibile gli alberi finiscono e si apre all’improvviso un prato arcobaleno: fiori fiori fiori!! E, appena lì, dietro la curva del sentiero compaiono i primi tetti di pietra. Scaglie scure, luccicanti e regolari che da sempre proteggono i pastori. Un piccolo borgo, Montagne Seu, con casette piccole e curate, una chiesetta piccola e luminosa: tutto è curato e semplice, solo i fiori sono esuberanti. La stanza del rifugio Arnauld è calda, pulita e accogliente la luce però ci sarà solo un’ora la sera e noi distendiamo i nostri sacchi a pelo nella penombra dei nostri nonni. Si cena a lume di candela ma il sorriso che ci serve un menù squisito illumina la serata: viene dal sud e da lì porta tutto il calore e l’accoglienza che renderanno unica questa giornata. E non solo.

 

Il tramonto limpido ritaglia il profilo dei monti, il buio vero ci regala un cielo ineffabile di stelle le voci sommesse lasciano il posto ai suoni della notte.  Stanca, più per le emozioni che per la salita, mi addormento chiedendomi se sono sullo stesso pianeta su cui viaggiava il treno stamattina. I sogni colorano la notte ma non rispondono alla mia curiosità: e domani?

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