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Forza nove, calma piatta.

giovedì 6 aprile 2017

Andare al mare a metà ottobre. E se dico mare intendo quel bellissimo mare che d’estate incanta gli occhi e ci riappacifica con la Natura . Quello che ci fa sentire più belli e tonici. Quello che in gioventù ci fa innamorare, ci fa fare il bagno a mezzanotte ascoltando poi la poesia della risacca alla luce complice e romantica della luna… quel dolce e materno dondolio che alla luce del sole è sopraffatto dalle voci dei bambini e dagli spruzzi dispettosi  dei fratelli maggiori. Ecco , andare in quei luoghi fuori stagione estiva è come guidare l’auto in Gran Bretagna: tutto normale ma al contrario. È come vivere uno spettacolo dietro le quinte: lo spettacolo è lo stesso ma il punto di vista è opposto. Si parte la sera perché non c è alternativa  e, di sera, la nave al porto tutta illuminata ricorda la nave Rex di felliniana memoria. Da fuori le luci che illuminano i saloni interni sembrano sale da ballo e fanno sognare cuccette esclusive. Non si fa coda, non si muore dal caldo, non ci sono bambini sudati o cani ansimanti, non c è l’euforia e la pelle chiara  del “finalmente sono in vacanza!”. Ci sono camion che traghettano dal continente; ci sono poche moto e le tute nere integrali sotto il cielo grigio fanno  meno sorridere che non sotto la canicola d’agosto; ci sono sparuti  camper dalle targhe evidentemente nordiche , così come evidentemente nordici sono i capelli biondissimi, l’abbigliamento libero,i calzini bianchi e le maniche corte, anche se fuori piove e fa  freddo. Nella pancia della nave c’è spazio di manovra e i parcheggiatori con le tute gialle e pulite sono tranquilli e rilassati. Freno a mano, beauty, pigiama, libro e biglietto.

 

Il rimbombo metallico dei piani sotterranei nel breve spazio di una rampa di scale si trasforma nel soffice passo sulla moquette pulita e profumata avvolto dalla musica di un pianoforte che ti richiama ai piani alti… come se Novecento fosse lì a suonare per noi aspettandoci da sempre.

Una musica che non ascolti ma che ti manca quando la spengono .
Una musica che culla la rotta e nasconde il rumore dei motori.

La cena svela l’entità dei compagni di viaggio . I nordici sono accoccolati sui divanetti, scalzi e ordinati, forse non sono troppo pettinati ma hanno l’aria di nuovi hyppies ecologisti ed educati. I camionisti stanno insieme: ognuno il suo vassoio ben nutrito di primo, secondo,dolce, contorno e vinello: evidentemente non temono il mal di mare. Coppie giovani con bambini piccolissimi si alternano nelle cure del loro cucciolo, alcuni si concedono la cuccetta, altri resistono alla tentazione e tentano di coniugare i ricordi di gioventù con le loro nuove responsabilità . Poi ci sono coppie non più giovanissime, ma spiriti liberi che non cedono alle lusinghe borghesi di un letto ma, fedeli ai loro capelli lunghi e ai loro storici tatuaggi , improvvisano con due coperte un giaciglio dove riposare vicini e ancora innamorati. E poi c è il personale di bordo. Un piccolo alveare (la divisa è gialla) invisibile e efficiente, un microcosmo che assicura ai pochi passeggeri una traversata tranquilla. Sono quasi tutti ragazzi e ragazze giovanissimi, ma tra loro si palesa qua e là qualche capello bianco … lo chef… la cassiera… chissà se hanno sempre lavorato sulle navi… chissà se hanno perso il lavoro a terra e si sono dovuti adattare a questa vita nomade e migrante senza meta, con l’unica mira di tornare a casa , magari in campagna , lontano dal mare, per il turno di riposo. Parlano tra di loro lo stesso dialetto per farsi compagnia, condividono gli stessi strani orari che ci fanno cenare alle 19.30 e fare una colazione calda alle 6.30 come se fossimo a casa . Alcuni , forse i meno esperti, al mattino rivelano la stanchezza del viaggio: la divisa , unisex e taglia unica (con evidenti abbondanze o ristrettezze a seconda dell’indossatore/trice), è un po’ spiegazzata, la giacca un po’ di sghimbescio, i capelli senza gel o appena raccolti, ma sopratutto lo sguardo: è come il nostro , abbiamo avuto mattine migliori!

Il viaggio è infinito. Usciti dall’abbraccio del porto affrontiamo il mare a forza nove. Sdraiate è meglio, ma Novecento non suona più e si possono ascoltare gli scricchiolii della nave e il ritmo cadenzato delle onde. Non è la risacca  poetica e materna. È la forza del mare che vince la stazza di un bel traghetto unendo l’energia di tante piccole gocce agitate . Nella penombra della cabina, nel dormiveglia pensieroso capisco bene cosa vuol dire essere in balia delle onde: penso ai pescatori che racconta il Verga,  penso ai barconi che arrivano dall’Africa carichi di paura e aspettative, penso ai macchinisti che stanno sotto di noi, nella pancia della nave controllando che vada tutto bene e che per primi dovranno reagire con coraggio in caso di bisogno, penso che se dovessi buttarmi a mare sarebbe meglio senza scarpe… e poi sogno di un treno che dalle rotaie passa a strade piccolissime e strettissime e poi vola… in montagna… parlano tedesco… e io atterro su un prato verde…

 

Finalmente la voce del capitano ci invita a lasciare le cabine e a fare colazione perché siamo in prossimità del porto. L’annuncio in italiano ha l’accento del personale. Quello in inglese pure. La colazione si svolge in silenzio: chi per la notte poco tranquilla, chi per l’effetto delle pastiglie anti nausea. Novecento suona ma nessuno ci fa più caso.

Sbarchiamo. Cielo grigio. Nebbia. Pioggerellina. Ma non eravamo al mare ? Come se al mare non ci fosse mai brutto tempo, come se qui questa pioggia non fosse manna! Usciamo e subito, nonostante tutto, il profumo di questa terra ci accoglie e ci rassicura: siete arrivate ! Il vento caldo di scirocco alza la temperatura a 24 gradi e alza la sabbia rossa che sporca i vetri. Il mare è limpido ma grigio: riflette il cielo ; le barchette dei pochi pescatori nei porti ondeggiano ben ormeggiate ai moli. In paese a mezzogiorno, ancora intirizzite dal sonno e dall’umidità siamo travolte da una grandinata : gli abitanti del luogo già commentano ricordando quando c è stata l’ultima così forte e già pronosticano automobili danneggiate e vetri rotti. Quindici minuti da paura, e poi lo scirocco si porta via tutto e lascia sperare un cielo migliore .

 

La mattina seguente  infatti sembra primavera . Il cielo blu cobalto. I prati verdissimi. Le mucche sono uscite dall’ombra dei lecci e finalmente possono brucare con gusto. Le buganvillee fioriscono sfacciate e i corbezzoli carichi di frutti gialli e rossi fanno venire voglia di fare marmellate! Ma allora è così il mare d’inverno?! Ma perché non facciamo le ferie adesso?? C è anche la fiera di paese per la santa patrona: bancarelle e lunapark in formato ridotto guardano il cielo e assicurano al terreno i tendoni (questa terra è famosa per il vento, e pure adesso non si smentisce) e sperano non piova più per non perdere quei pochi clienti , locali e non , di fine stagione. La piazzetta si anima di bambini di nuovo padroni dei loro spazi. Il sole scalda, non cuoce. La gente ride e non si agita. I negozi possono chiudere e riposare. È come a Natale: ci si sente tutti più buoni , solo che a Natale non potremmo fare un picnic scalze sulla spiaggia.

Domenica mattina. Il piazzale della chiesa brilla al sole, i vecchi aspettano all’ombra del campanile mentre le donne con passo svelto entrano in chiesa per prime al suono delle campane. I pochi bambini provano qualche canto e noi ci sediamo in fondo sentendoci ospiti. Il prete viene dal centro Africa , un segno dei tempi, e parla con voce tranquilla e profonda all’assemblea in ascolto , traducendo poi anche in un ottimo inglese il succo del suo messaggio d’amore ad un gruppo di suoi conterranei : giovani uomini ordinati arrivati con uno di quei mezzi che mi facevano pensare la notte sulle onde agitate. La loro partecipazione e l’accoglienza dell’assemblea sono un’altro segno, quello di una piccola chiesa che sa essere famiglia anche in un piccolo sperduto paesino dell’entroterra.

Tre giorni volano. Si è vero abbiamo lavorato tanto, abbiamo lavato e asciugato lenzuola e coperte, al sole e al vento , con l’unico suono del canto di alcuni uccellini che da noi non sento. Abbiamo visitato uffici comunali senza code ma anzi con la certezza di essere osservate e catalogate come turiste di cui parlare dietro le tende o al bar. Ma tre giorni volano. Un attimo fa sbarcavamo sotto la pioggia calda, un attimo dopo cercavamo la strada del porto. Tutto si ripete a ritroso. Alcuni passeggeri sono gli stessi, probabilmente qualche evento di famiglia li ha riportati qui a respirare un po’ del loro ossigeno . I camionisti non sono gli stessi ma hanno gli stessi vassoi al self service e la stessa aria da persone , come si dice, navigate. I nordici adesso hanno i capelli bianchi, vestiti grigi, beige e marrone con gli immancabili calzini bianchi. Parlano sommessi ed educati ma ridono di gusto come fossero all’Oktober fest. Anche il personale di bordo è lo stesso … stesse le divise larghe o strette… stesso il dialetto… stesso lo chef, stesso il menù … stessa la cassiera … stessa la strana commessa del piccolo shop che vende biscotti, magliette, gioielli e riviste francesi… tutto uguale. Solo il mare è diverso.

Le gocce d’acqua salata stasera sono tranquille, una tavola lucida, mobile ma compatta sulla quale la nave può scivolare tranquilla e i nostri sogni con lei. Calma piatta. La nave non cigola e penso al diverso stato d’animo che avrebbero i pescatori del Verga, magari cantando a bassa voce qualche nenia tramandata dai nonni per farsi compagnia calando le reti… penso ai diversi silenziosi pensieri dei poveri migranti… ai macchinisti sonnacchiosi come piccoli Umpa Lumpa dei motori … al capitano che ripassa in inglese l’annuncio del mattino…

L’alba in continente ci saluta rosa e serena, donando bellezza al quartiere del porto che alza ciminiere e serbatoi di petrolio al posto di mirti e lentischi. La nave che attracca in silenzio non disturba chi ancora in città può dormire un’altra mezz’ora. Le luci delle nostre auto si mescolano a chi finisce il turno della notte. Non c è traffico, calma piatta anche in autostrada . Le palazzine abitate in questa zona sono un po’ trasandate e tristi ma hanno i panni puliti e  stesi, segno di cura e quieto vivere . Una scarpa per strada fa pensare a una notte insolita , ma la luce del giorno ne cancellerà le impronte. Chi mi accompagna prende appunti per me , poche parole: abbiamo dormito ma non possiamo dire di essere fresche e riposate. Mentre la strada valica le montagne ci riporta fedelmente a casa .

Mi sembra sia passato un mese. Mi chiedo se i giorni passati siano sullo stesso pianeta. Capisco meglio quanto il mare possa isolare e proteggere un intero ecosistema umano e naturale , ma mi consolo cercando nei sapori portati a casa dal forno del paese i ricordi di quelle poche ore passate sull’altra sponda. Il profumo della sapa e delle mandorle mi riporta alla panettiera svaligiata dai suoi dolcetti appena sfornati, sorpresa anche lei di rivederci li in questo periodo . Ma c è un sapore, un altro sapore che viene dal mare , un altro mare , che vi voglio lasciare : il pesto PG. Il pesto ha la poesia della storia di antichi viaggiatori che valicavano la Cisa portando il parmigiano a sposarsi col basilico e l’olio della costa ligure. E PG ha la sicurezza delle cose semplici fatte bene (andate a vedere PGLAB… e capirete!) La prima sera sull’isola PG ci ha preparato una fantastica pasta : spaghetti al dente conditi col suo pesto fatto in casa , incorniciati dalle luci del tramonto sul mare silenzioso , dalle chiacchiere tranquille e allegre dopo una giornata faticosa. Gusto e natura: il nirvana mediterraneo! È semplicissimo: basilico,tanto,fresco e profumato . Olio, extravergine . Parmigiano, vero. Frullare tutto insieme e bò . Si dice che mettendo un pochino di ghiaccio si evita l’ossidazione delle foglie e resta verde brillante. Ma al crepuscolo si nota poco. Senza i pinoli (o chi per loro) e senza aglio risulta freschissimo e leggero..impossibile non fare il bis e “scarpettare” il piatto!

 

 

P.S.Il Rex è una nave da crociera che passa al largo di Rimini di notte nel film “Amarcord” di Fellini..da vedere!!

P.P.S. Novecento è un personaggio di un libro di Baricco e di un film di Tornatore “Il pianista sull’oceano”..da leggere è da vedere!!

P.P.P.S. Gli UmpaLumpa sono gli operai della Fabbrica di Cioccolato di R. Dhal..è da bambini ma non troppo..da leggere!!

Buona traversata!

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