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Regio, sono Teatro Regio

lunedì 21 ottobre 2019

Come comincio? Come posso descrivere un fuoco d’artificio di emozioni parole e riflessioni… di stupore magia e realtà? Perché il Teatro Regio è tutto questo. Anzi, molto di più.

Rossana mi riceve nel suo piccolo ufficio al secondo piano. Non so bene dove sono, unico riferimento i tetti di Parma centro dalla finestra. Mille volte sono passata davanti a quel colonnato che si affaccia su via Garibaldi da più di un

secolo, ma troppo poche volte ho varcato la soglia. Se ne sta lì, impettito e austero, nel suo abito neoclassico bianco e giallo, sempre ben tenuto ed ordinato, se ne sta lì ad osservare sornione il passaggio del Tempo che cammina sul selciato: da sempre accoglie giovani e adolescenti sulle scale pulite; ascolta attento i commenti degli intenditori che, in fila ordinata, attendono l’apertura della biglietteria; protegge sotto al portico mamme e passeggini dagli improvvisi acquazzoni d’Aprile o offre un po’ d’ombra ai turisti negli assolati pomeriggi d’Agosto. Se ne sta lì, ma il suo stare è incredibilmente operoso.
Della lunga chiacchierata con Rossana mi resta impressa una frase che lei dice con particolare cuore: “Si, perché per me il Regio è una persona!” Ecco, tutto quello che ho visto, sentito, ascoltato e annusato è stato illuminato da queste parole e dai suoi occhi vibranti di luce e di vita dietro la montatura colorata.

Mi racconta aneddoti e ricordi che puntualizzano cosa significa davvero “the show must go on” e cioè l’ineluttabilità della data dello spettacolo. Quella è e quella sarà. Non c’è spazio per “se” e “ma”, per “forse” o “magari”. Quella è. E allora per quella data TUTTO deve essere pronto. Usciamo dall’ufficio e mi mostra cosa vuol dire il suo “TUTTO”. Stand infiniti di abiti da scena. Io pensavo che gli abiti da scena fossero solo un bell’involucro, invece scopro che sono abiti completi e meravigliosi: tutto, anche quello che non si vede è perfetto e vero. Perché la finzione, per essere verosimile, deve vestirsi di vero. Perché la cantante per essere Violetta e cantare il suo amore tragico e leggiadro deve vestirsi di lei. Perché chi la vede possa credere di vedere lei e di sentire il suo cuore. E quindi c’è ricerca storica, c’è il regista, ci sono i materiali a volte da inventare o trovare , a volte da creare. A mano. Uno per uno. Addirittura lo stesso mantello può essere di tre tessuti diversi a seconda delle luci che prenderà sulla scena. E, ovviamente, tutto su misura. Haute Couture a tutti gli effetti. Arte e Creatività ai massimi livelli. Imprevisti compresi, anche se qui gli imprevisti non spaventano nessuno. “The show must go on” è un tiranno che riesce a tirar fuori energie e capacità dettate dalla necessità. A breve c’è la prima, “anche se” non esiste. Si deve andare in scena. Il TUTTO è anche questo. E poi scatoloni di scarpe e calze per tutti, coro e comparse compresi E poi i biglietti su ogni abito o accessorio perché la musica in diretta ha il suo tempo e non c’è spazio per attese o dubbi e TUTTO deve essere preparato in perfetto ordine di apparizione. Rossana, come fosse niente, mi indica un foglio A4 appiccicato al muro, appena dietro il palco, in quella linea di confine tra le luci al neon e il buio del dietro le quinte. Sembra un Mondrian. Ma i rettangoli colorati sono tantissimi e ognuno rappresenta un’entrata o un’uscita, un cambio d’abito o un cambio di scena. Un sudoku di persone perfettamente organizzato. Poi varco il confine. Le luci degli specchi scompaiono alle spalle e con loro le voci concitate dei tecnici indaffarati. Non c’è proprio il buio nero. E’ un buio blu. Un buio a cui mi adatto. Anche perché lo stupore e i brividi aguzzano i miei sensi. Non c’è totale silenzio, ma un vociare sommesso,

concentrato e rispettoso. Io non ho parole ma mi rendo conto di essere con la bocca aperta. Quinte, scenografie che scorreranno sulle assi nere e lucide del palco o che scenderanno dai complicati, e spesso antichi ingranaggi, sopra di me. Un formicaio di artisti e tecnici che provano e riprovano perché in quella ineluttabile data TUTTO sia perfetto. Sia vero. Sia vera emozione. Sia Passione. E come tutte le opere d’arte, un evento unico e irripetibile. Perché non esiste registrazione che possa trasmettere e ripetere l’operosità e l’incertezza, gli odori, gli sguardi di intesa, i timori e le speranze che palpitano qua dietro, così come non potrà riprodurre tutti quegli sguardi in platea e nei palchi affamati di emozione e Bellezza.

Poi mi riceve Massimiliano. Parlare pacato, quasi sommesso nonostante tra una manciata di ore vada in scena la prima opera in cartellone. Mi colpiscono gli occhi. Direi azzurro bambino, perché in quell’azzurro c’è ancora la fantasia e l’incanto dell’infanzia, ma direi anche azzurro profondo perché c’è tutta l’esperienza e la consapevolezza del suo lavoro che è essere capo del reparto scenografie. Quelle stesse scenografie che mi tenevano a bocca aperta nel buio blu sono nate qui.

E così, come con Rossana ogni minimo particolare aveva la sua importanza, qui in questo anonimo capannone di periferia, varcato l’enorme portone, avvolti dal profumo di legno, di ferro e di pittura, ogni massimo particolare è fondamentale. Qui si pensa in grande, perché si parla di metri, che non significa che sia più facile e meno curato. Si parte dalle misure precise della location, che può essere un palco strutturato o una chiesa in restauro. Ci vuole un progetto specifico fatto di misure e rilievi, norme di sicurezza e leggi di scena. Ma poi bisogna che queste misure, ineluttabili come la data dello spettacolo, diventino palazzi, giardini, piramidi, navi, piazze, mercati…la scenografia accompagna la nostra immaginazione nei luoghi e nei contesti in cui vive lo spettacolo. La scenografia trasforma lo spazio, ne altera la nostra percezione, dilata o restringe, illumina o spegne, incornicia e dà risalto…la scenografia la noti se non c’è. E’ subliminale a volte.

Mentre Massimiliano mi spiega e risolve al telefono un classico imprevisto, osservo incantata: megapennelli appesi ordinati al muro, appunti lasciati ai colleghi, secchielli di vernice, lunghe assi appoggiate sui tavoli, innumerevoli e, a volte fantasiosi, ferri del mestiere…osservo e capisco meglio quanto lavoro ci sia dietro un “semplice “ fondale. Osservo e penso a tutte queste persone, tantissime, che ridono e scherzano bevendo un caffè, che fanno del loro quotidiano un opera unica.
Penso che al prossimo spettacolo quell’abito avrà il nome di tante sarte, avrà lunghe ore di aghi infilati, bottoni e nastri, impunture e asole cuciti alla luce del sole o a quella di un neon.
Penso che al prossimo spettacolo quel bosco o quel castello vibreranno del taglio esperto, del martello sicuro,della pennellata energica che, mentre io facevo la spesa, qui materializzava la fantasia. Col caldo e le zanzare d’estate o col freddo umido dell’inverno.

Penso e sorrido: al prossimo spettacolo i miei sensi saranno amplificati, non dall’ oscurità, ma perché parleranno direttamente al cuore avendo compreso quanto talento, creatività e professionalità ci vogliano per rendere vera, più che verosimile, la magia del teatro; e il dono di Regio non sarà solo un’emozione passeggera, ma un momento vissuto e intenso perché intriso di tante vite, che eleva la nostra anima col potere dell’Arte rendendomi, anzi, rendendoci persone migliori.

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