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Si scrive Pit si legge Casa.

lunedì 14 agosto 2017

Questa volta parto da sola.

Sola col vecchio atlante del Touring. Quello con le pagine che ormai si staccano. Quello che da 20 anni viaggia con noi.
E sola coi ricordi . Quella strada l’ho fatta in parte anni fa e chissà perché me la ricordo bene. Nonostante ciò l’atlante è d’obbligo.
Alcune strade ancora non c’ erano ma quella per Cassio c’ è da sempre direi : era ed è la vecchia strada che collegava Parma col mar ligure, e Cassio , piccola ma vigile, sta sul crinale del monte a osservare chi sale e chi scende.
Chi sale col pesce e chi scende coi porcini.
Cassio è tanto sulla cresta ed è tanto isolata che non si è mai ingrandita: le solite vecchie case coi soliti vigili abitanti.
Cassio è  piccola ma c’è tutto: la chiesa, il bar, gli orti e c’è pure il matto del paese che col suo sguardo indifeso e ingenuo mi guarda passare in auto e vorrebbe chiedermi chi sono , perché, sarà pure matto ma riconosce subito che sono nuova.
Per non perdermi in questo tragitto ho la mappa aperta sul sedile e i preludi di Chopin a farmi compagnia: non voglio parole ma nemmeno silenzio. Il pianoforte poi si suona a due mani e mi fa immaginare le due mani al lavoro che vado ad incontrare. Loro il legno non lo suonano, ma permettono che ancora si esprima anche quando non è più un bellissimo albero del bosco.
La casa dove mi aspettano è dietro ad una stalla , non ci sono zanzare ma mosche sì, e tante!! Per un attimo temo di aver sbagliato carraia: è talmente piccola e riparata che se non vedessi Pietro sbracciarsi venendomi incontro forse tenterei una disperata retromarcia.
Dietro la curva compare la casa con un bellissimo e rilassante panorama sulla valle.
E già mi pento di aver rifiutato un invito a pranzo: sapere di dovere scendere a valle mi accorcia il tempo a disposizione, ma poi cerco di convincermi che due ore sono tante. E va bene così.

Pit sta per Pietro e non appena comincio a chiacchierare con lui ho la certezza che sia il nome giusto, perché dà l’idea di uno sì creativo ,questo lo so, ma anche solido, stabile, affidabile e questo lo sto scoprendo adesso mentre lo osservo in cucina parlare tranquillo , preparare il caffè e mescolare il sugo con calma e allegra padronanza.
So che è restio a raccontarsi perché lavorare il legno non è proprio il suo mestiere, ma è lui che non sa che a me interessano la passione e la storia che l’ hanno portato quassù .
Beviamo il caffè e con due pezzetti di focaccia si scioglie l’atmosfera.
Comincia a raccontare e capisco da dove vengono i piccoli trucioli che ha sulle spalle che, evidentemente, non era riuscito a spazzolarsi via mentre mi sentiva arrivare.  Vengono dal suo mondo che finalmente ha il coraggio di mostrarmi.
“Dai vieni che ti faccio vedere, ma non spaventarti!”
Giriamo da sotto il balcone e si apre un portone.

“Attenta a non sporcarti!”
Ma il legno non sporca, anzi passando dai 30 gradi del sole accecante ai 25 nell’ombra del suo rifugio sono solo felice di “sporcarmi” respirando profumo di resina.
Varco la soglia e si vede subito che qui non è il solo a lavorare.
Si vede subito che altre mani, più giovani e più vecchie delle sue,  si sono date da fare: altre manine morbide e delicate che ci possono giocare.
Nella memoria di Pietro tutto è cominciato con suo nonno che , autarchico, progettò, costruì e arredò la casa . Sapeva fare tutto: geometra, falegname, elettricista, idraulico… e il suo vecchio tavolaccio da lavoro è ancora lì, in uso, impregnato di chissà quante storie vissute che potrebbe raccontare.
Storie meravigliose e incredibili di nonni supereroi che senza tutine né mantelli sapevano fare davvero grandi cose con poco.

Poi il padre di Pietro ha continuato a lavorarci ma, da filosofo qual’è , le sue mani sapevano scolpire più che costruire, tanto che si vedono ancora le sue opere finite esposte in casa, così come resistono le sue  ” incompiute” nel laboratorio a portare un po’ di arte dove cacciaviti e seghe circolari regnano indiscusse.
 E poi arriva Pietro.
Prende le mani del nonno e il cuore del papà. Impara a conoscere gli attrezzi e i tipi di legno , ma impara anche a usarli in modo personale e innovativo.
Semplice , essenziale ma creativo.
La cosa che più mi affascina è che ogni oggetto , di per sé compiuto, una volta nelle mani del nuovo proprietario può ancora cambiare uso e essere personalizzato a seconda del proprio gusto o necessità… la creatività di Pietro non è statica nella sua idea ma apre porte personali dove la mia e la sua fantasia possono coesistere e galoppare: arte e artigianato liberi di respirare nello spazio e cambiare nel tempo.
Ormai i racconti fluiscono in piena , racconta e mi fa vedere, racconta e non sa da dove cominciare finché da un anonimo scatolone emergono lampade, taglieri, portachiavi da muro, portacandele, reggilibri, prototipi, oggetti  che non temono di sporcarsi di segatura perché è da lì provengono.
Per ogni oggetto Pit ha la sua storia: questo legno l’ho raccolto abbandonato sul sentiero, questo in un fondo di magazzino, questo era uno scarto, quest’altro un esperimento…tutto uscendo dallo scatolone prende vita come tanti Pinocchio dalle mani di Geppetto!
Poi Pit non resiste, ha ormai slegato l’ancora e si confida libero ” e poi c’è la mia passione: il tornio! Non lo so usare ma coi proventi del mercatino di Natale me ne sono preso uno di base e sto facendo un po’ di prove…vorrei fare un corso, anzi ne ho trovato uno…un fine settimana…” e i suoi occhi verdi si illuminano nella penombra del garage.
“Ti faccio vedere una prova.”
Prende un parallelepipedo di legno grezzo.  Ai miei occhi profani potrebbe essere un qualunque avanzo di cantiere , ma mentre comincia a lavorarlo con i vecchi attrezzi dello zio ecco il profumo del cirmolo , ecco che il colore schiarisce, ecco scomparire gli spigoli e volteggiare i trucioli, i trucioli che aveva sulla maglietta !
 Il legno gira tanto forte che quasi non mi rendo conto di cosa stia facendo.
Alterna attrezzi con lame specifiche che, con  le sue mani sicure, insistono su un punto o scorrono sul legno.
Tornire è un po’ come scolpire: puoi solo togliere e non puoi tornare indietro, e mi affascina quest’arte così difficile che è il togliere per liberare un’essenziale bellezza.
Intanto che filosofeggio  da quel parallelepipedo esce un ben tornito candeliere.
Ben tornito e profumato.
Pronto per la finestra della mia casetta in montagna.
Pronto per una candela, o per una bella pigna, o per una piantina grassa, o per un cardo, o….
Incantata da questa abilità non mi accorgo che è passato mezzogiorno, che sono qui da due ore, e che un’altra macchina arriva e parcheggia nel piazzale ombroso.
“Ecco mia madre! Voleva salutarti!”
Oddio! Sua madre era la mia prof di latino e greco! E io non ho ripassato!!
Mi torna il caldo e subito riaffiora il senso di inadeguatezza quando venivo interrogata su Eschilo o su Cesare (se avessi studiato di più forse…) ma rifiorisce anche la gratitudine per quegli anni unici e indimenticabili passati al liceo a studiare più che le declinazioni o le parafrasi , il perché delle cose, la profondità e la bellezza dell’Uomo, il tempo che passa , cambia e si ripete..come le mani di Pietro che non sono le mani di suo nonno né di suo padre ma che ,come loro , tramandano cura e passione, condivisione e studio , dedizione e soddisfazione.
Dopo un piacevole “amarcord” di imprese scolastiche salgo in macchina  col mio nuovo “portaquelchevorrò” in cirmolo, liscio e profumato appoggiato sull’atlante.
L’atlante è chiuso perché tornare è più facile e mi consente di godere il panorama.
Di curva in tornante ripenso a tutta la storia e la vita che di stagione in stagione passano per quel laboratorio arrampicato sul crinale di un monte, isolato dalle piante  ma così pieno di serenità e colori, i colori di  mille sfumature e  striature che, nascoste prima da una corteccia ruvida , potranno poi riscaldare le nostre case dopo essere state accarezzate da Pit.
Chopin riempie l’aria e lo lascio uscire dai finestrini: chissà che la sua armonia non faccia bene anche ai giovani arbusti e alle vecchie querce maestose e silenziose lungo la strada.
Capisco perché si scrive Pit e si legge casa.
Tutto è nato costruendo una casa. Crescendoci dentro. Lavorandoci ad arte, fino a rendere anche le nostre case più calde ed accoglienti.

Scriviamo casa e ci leggiamo Pit.

Inutile dire che in questo momento il tornio sta girando, scalpelli e bulini sono impolverati di segatura e fantasia, la radio nel garage trasmette notizie e canzoni se il sibilo della sega non le zittisce… ma se volete vedere le cose belle di Pit basta andare sul Instagram su “Pit.legno” e magari scoprire il prossimo mercatino in cui incontrarlo col suo sorriso contagioso.
Ci vediamo la!

 

  1. Non riuscivo a dormire, colpa lo stress di un periodo davvero intasato di preoccupazioni, di scelte, di ostacoli, di paure non mie non previste e non facili da capire e da sciogliere..stufa di scorrere inutili pagine di social che riescono solo a distrarmi per un attimo, ecco che mi trovo a ricercare il significato di meraki..di sicuro l’avevo già fatto e chiesto, ma questa volta l’ho fatto con..meraki tutta mia, e sono rimasta incantata..come se fosse la soluzione a tutto per me ora. Grazie Begno, ti conosco da tempo, lasci il segno, sempre…ero lì con te mentre leggevo del tuo incontro con pit..vedevo i tuoi occhi guizzare curiosi già dal primo tornante fino a percepire come potevi impaziente e sospesa assaporare tutto di pit. Si sentiva tutto, anche il profumo del cirmolo. Grazie.

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