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Ufficio Cornicette

martedì 29 agosto 2017

“artigiano s. m. (f. –a) e agg. [der. di arte]. – 1. s. m. Chi esercita un’attività (anche artistica) per la produzione (o anche riparazione) di beni, tramite il lavoro manuale proprio e di un numero limitato di lavoranti, senza lavorazione in serie, svolta generalm. in una bottega…”

Se questa è la definizione che dà la Treccani allora, ieri, anche io sono stata in un certo senso  un’artigiana!
Location: Pozza di Fassa, la nostra casetta, nel nostro prato, vista Dolomiti. Lo ammetto, è molto bello.
A dire il vero se oggi dovessi costruire una casetta indipendente manterrei il posto ma non la farei più com’è.
Immaginatela: è gialla. E se dico giallo dico giallo polenta. Un giallo caldo, allegro, che si  nota, con del carattere, forse un po sfacciato ma coraggioso e sicuro di sé.
Le finestre hanno un bel bordo bianco , infissi bianchi e persiane verdi. Di due verdi: i riquadri sono verde bandiera e il telaio verde abete, più scuro ma brillante.
Nel timore di essere poco colorata tutte le parti in  legno  (scale, veranda,balconi,tetto) sono di un bel marrone scuro e lucido, grazie all’olio di lino che periodicamente mani sante spennellano durante le ferie.
Il Villino San Nicolò si erge spavaldo ma accogliente circondato da Dolomiti bellissime che offre ai suoi ospiti come fossero merito suo.
Cosa volete , ha 79 anni e l’aver resistito a tante piogge… nevicate… solleoni… nuvoloni… temporali…l’aver visto nascere e crescere almeno 4 generazioni lo rende anche vanitoso, ma gli vogliamo bene così, perché è, ,si vanitoso ma anche generoso!

 

Sono 50 anni che godo di questo posto e ieri , animata da uno slancio “artigiano” ho deciso di ringraziarlo e guardando il perimetro della casa e il piccolo orto che resiste dalla seconda guerra mondiale, ho capito cosa potevo fare: pulire!

C’erano erbacce sotto la veranda che soffocavano la nostra modesta piantagione di lamponi e ribes rossi e neri .
C’erano erbacce che si ergevano pungenti e arroganti nell’orto.
C’erano erbacce nei vasi di salvia e basilico.
C’erano erbacce intorno alla legnaia e sotto la serenella. D’altro canto la falciatrice è molto brava nel radere il prato ma a filo muro non ce la può fare. Per i  maschietti di casa quest’erba rigogliosa ma non richiesta non è un problema. Anzi è una guerra persa. Sono fatiche e rifiniture inutili.
Ognuno però ha i suoi talenti e io , nel mio piccolo, sono l’Ufficio Cornicette.
La mia filosofia è che ordinato è meglio,  a volte giusto, a volte necessario, ma se non è bello non è completo. Ed è per questo che una cara amica mi ha soprannominato così : mi piace mettere una bella cornicetta alle cose fatte bene.
Mi vesto da lavoro, con tanto di scarpe robuste e grembiule blu con le stelle alpine. Crema solare perché il sole picchia , calzino corto per abbassare il segno dell’abbronzatura.
Comincio dalla legnaia, perché è a est. Lavorerò da est a ovest seguendo il sole. Mi dà allegria e vigore.
Osservo la legnaia con atteggiamento di sfida ma sicura di me. Mi sembra ci sia poca roba e che vada soltanto riordinata e divisa per pezzatura : piccola per il barbecue, media e grossa per la stufa. In breve mi accorgo che non è poca..che le pezzature sono fantasiose…che devo togliere tutto e rifare da capo e mi rendo conto che quelle belle casette con la legna messa tutta ordinata coi fiori negli spazi lasciati ad arte e magari a forma di cuore hanno ora tutta la mia ammirazione!! Io non ho tronchetti tutti uguali ma vecchie scandole, i piedi di una poltrona, avanzi della vecchia steccionata, rami rametti e ramettini, e sotto, sotto tutto, trovo due giochi di legno che mio marito aveva fatto per i bambini .
Il tempo per qualche secondo si è fermato riportando alla memoria un periodo non troppo lontano ma molto, molto diverso da adesso. Sorrido. Senza rimpianti ma nostalgica si, lo ammetto.
Mi riprendo e ricompongo tutti i miei legnetti dopo aver messo in salvo la ruspa e il trattore dei bambini.
Alla fine tutto il mio lavoro non ha prodotto un angolo di sud Tirolo ma se non altro, per chi dovrà accendere il fuoco , sarà più semplice scegliere quantità e dimensione e, soprattutto, non brucerà i miei ricordi.

Ci scappa un caffè per decidere come e dove procedere. Il tavolo da lavoro!

Su questo tavolo ho giocato, letto, studiato e preso il sole. Adesso gli uomini di casa ci affilano la falce, ci aggiustano le persiane, ci sistemano le bici e col tempo e senza più la panca sotto è cresciuta una piccola foresta .
Ci vorrà un attimo, penso : lo sposto , col decespugliatore taglio tutto e risistemo.
Ma un n attimo è decisamente  poco.
Il tavolo pesa un quintale. Legno massiccio che non ha messo le radici ma si è piantato ben bene nel terreno umido.
Non si muove. Non si smuove. Ma io non mollo.
Lo ribalto e, di capriola in capriola, lo sposto. Avverto un leggero mal di schiena…trattenere gli addominali mi salverà ! O almeno così dice la mia insegnante di Yoga. Solo che se penso agli addominali mi muovo come un robot arrugginito e allora scelgo strategie salva-colpo-della-strega-fai-da-te.
Prendo il decespugliatore e mi sento un dio. Ma mi accorgo che il cavo con la spina è lungo 5 cm. Urge prolunga, molta prolunga!
La trovo e comincio.
La cosa non è banale come sembra.
Non solo bisogna tagliare poco per volta e non subito dalla base, ma bisogna anche valutare che l’erba falciata schizza e sprizza in tutte le vorticose direzioni del filo tagliante. Il che significa che anche le gustose ortiche potrebbero venire sparate  a velocità supersonica sui miei begli stinchi indifesi.
Capisco perché il giardiniere porta i jeans.
Il tempo di imparare tutte queste cose e ho finito. Orgoglio artigiano: gli stinchi prudono ma sotto il tavolo c’è un pratino all’inglese. Più o meno. Comunque molto meglio di prima.

Ho anche spostato , senza mal di schiena, due ceppi sovrapposti ,messi lì a fianco per lavorare, che nascondevano nel mezzo  un formicaio che sembrava Shanghai nelle ore di punta ma che, nel giro di poco, mentre mi sbizzarrivo col decespugliatore,  aveva spostato tutte le larve e le scorte di cibo non so dove…sparito tutto! Il ceppo sembrava appena tagliato!
Faccio ricapitolare il tavolo al suo posto dopo avervi sistemato sotto una bella pedana di tavole di legno . In verità erano tavole di compensato che stonavano nella mia legnaia simil-tirolo e così le ho  adattate qui: niente più erbacce per un po’!
Già che ci sono pulisco bene sotto la serenella, ma , questa volta, col falcetto che non mi spara le ortiche . Mi ci vorrebbe uno jodler per completare il quadretto!
Che bello! Adesso intorno alla legnaia, al tavolo e alla serenella niente più foresta selvaggia ma solo erbacce tagliate corte…meglio di niente!!

 

Pausa pranzo. Caffè. Due o tre capitoli di Jane Austin. Un po’ di sana Inghilterra romantica e snob per riposare le membra.

Si riparte.
Il sole ora illumina radioso la nostra coltivazione di frutti di bosco.
O meglio “frutti di prato nonostante tutto”: nonostante gli uccellini, nonostante i bambini , nonostante i fiori spontanei e infestanti, nonostante i pioppi (pioppi?? si pioppi…origine ignota…gli unici della valle…al Villino piace distinguersi…) che similissimi ai ribes rubano terreno senza dare bacche significative per le nostre marmellate o i nostri yogurt gustati sulle scale, scalzi, dopo una bella camminata in montagna.
E allora vai di falcetto! E’ un lavoro di fino perché è un attimo confondere il pioppo col ribes;
è un attimo essere cavalcata da un bel ragno e impigliarsi nei rami nella fretta di farlo scendere;
è un attimo sentire il profumo dei ribes e rimpiangere la marmellata che non siamo riusciti a fare;
è un attimo che mi alzo con la schiena accartocciata (nonostante addominali e fai-da-te)…
è un attimo ma  sorrido soddisfatta perché adesso le piante respirano e, ne sono certa, l’anno prossimo avremo un raccolto mai visto!!  Beh…speriamo dai!

Procedo verso nord-ovest coi lamponi. Le esili piantine sono affaticate da bellissimi fiorellini viola. Mi chino, un po’ irrigidita e mi chiedo come facciano in India a stare sempre in questa posizione rasoterra… devono avere ginocchia bioniche diverse dalle mie ovviamente.Mi chino  e noto che i fetenti fiorellini viola essendo più esili dei lamponi li sfruttano per crescerci sopra, avvolgerli e piano piano soffocarli. I lamponi si difendono buttando nuovi getti verdi da sotto ma la guerra, silenziosa ma instancabile, continua.

Col falcetto decido di fare giustizia. Almeno in onore delle mie, presunte, future marmellate o ciotole di yogurt.
Non mi ferma più nessuno: maneggio il falcetto come una consumata contadina della valle, riuscendo a destreggiarmi precisa e sicura tra timidi lamponi e infestanti fiorellini… ho quasi finito, sono all’ultimo lamp…
“Aaahhhgh…!!!”
Non ho nemmeno il tempo e il modo di capire cosa è successo ma ho un dolore lancinante alla spalla…una fitta che indurisce…corro in casa mentre realizzo che dev’essere stata un’ape o una vespa…una vespa perché non c’è pungiglione…che dolore!! Papà accorre con un batuffolo di nauseante ammoniaca che blocca la fitta anche se non passa…
Vespe???ma dov’erano???
Esco di nuovo dai miei amati lamponi e vedo che proprio sotto l’ultima piantina c’è una nuvola di simpatiche bestiole gialle e nere, tutte agitate che entrano ed escono da un buco in terra: un alveare sotterraneo! Inavvicinabile adesso, e mentre osservo come in silenzio ripristinano la situazione rivedo la scena dal di fuori: una finta contadina accucciata, un’alveare che avverte il pericolo sotto forma di radici smosse che sono la loro casa, finché la generalessa dà il segnale alla contraerea che scatta fulminea e agguerrita per scacciarmi con una primo mirato avvertimento.
Come si dice “Colpito e affondato” .
Però abbiamo vinto entrambi: io ho pulito fino all’ultimo lampone e loro sono tornate al loro lavoro.
Le osservo ammirando alacrità, coraggio (quanto sono io più grande di loro…) e intraprendenza mentre io, lì in piedi, col mio falcetto in mano e la spalla dolorante non sono che un’apprendista estirpa-erbacce stupita e felice di aver scoperto e interagito con Madre Natura che, generosa, ha tantissimo da insegnarci e comprendo anche che siamo così felici quando impariamo con lei!!

 

 

Ultima impresa: l’ orto.
E’ piccolo e quest’anno per cosiddetti “motivi famigliari” non abbiamo piantato la nostra insalatina né le esuberanti zucchine, ma è rimasto coperto da un telo di plastica nero per, indovinate un po’, evitare le erbacce!! All’esterno quattro vasi larghi e capienti avevano ospitato in annate migliori erbe aromatiche di vario genere che poi con l’inverno coperte dalla neve avevano finito di profumare. Al posto di basilico e salvia trionfavano svariati tipi di foglie più o meno grandi e più o meno urticanti. Col mal di schiena che incominciava a essere importante decido di scaravoltare i vasi e recuperare la terra. Un quintale. Un quintale l’uno! E avevo sottovalutato che avendo piovuto tutta la notte erano anche bagnati. Ah l’esperienza!
A fatica li giro sotto sopra.
A fatica estraggo il vaso lasciando una torre di terra bella rotonda che nemmeno sulla spiaggia adriatica al campionato di castelli di sabbia! Ok. Non c’è problema. La carico sulla carriola e la spargo sotto i pini. Dimentico il quintale. Col badile, ormai esausta, la spacco. Con le mani e i quadricipiti (cioè uso le gambe e non più la zona lombare che mi ha abbandonato) la carico. E con tutto il mio peso (che non è un quintale) spingo la carriola, arranco sull’erba, il prato non è mai stato così lungo…e arrivo sotto i pini!
Hanno almeno 70 anni. Alti, imponenti, ombrosi, tranquilli, rassicuranti…ogni volta che li guardo da sotto in su  sento la canzone di Heidi…e i ricordi vanno più indietro dei giochini di legno…
Stendo la terra e spero possa tornare utile  qua sotto, tra gli aghi e le pigne ormai secchi ma soffici e profumati come sempre.
Faccio la stessa erculea fatica anche con gli altri tre vasi ma, per evitare il lungo tragitto fino in fondo al prato, ho la brillante idea di spargere la terra umida sotto la serenella.
La spalla offesa mi consiglia di lasciar stare i lamponi e io mi sento molto scaltra.
Per fare un bel lavoro la spargo col badile, dapprima piano, poi decido che con le mani è meglio . Pessima idea: prendo la zolla, la lancio perché si rompa sul terreno e invece rimbalza su alcuni giovani getti dritti ed elastici che me la risparano tutta in faccia in una frazione di secondo!
Non so se ridere o piangere. Decido di ridere perché ho gli occhi e le lenti a contatto pieni di terra. Corro in casa senza vedere nulla, mi guida la memoria finché l’acqua fresca mi permette di recuperare la vista , togliere le lenti e guardarmi allo specchio: accaldata, interrata, ma nonostante tutto divertita!! Anche perché era l’ultimo vaso da svuotare!

Ultimo sforzo: rimettere i teli neri sul terreno.
Mi armo di sacchetti da spazzatura neri e robusti ma quando apro il cancelletto realizzo che le erbacce si sono date da fare anche lì. E allora falcetto in resta e non ce n’è più per nessuno! Non ci metto molto ma mentre sto dando gli ultimi sfalci qualcosa si muove sotto le gambe… con la coda dell’occhio vedo qualcosa come se un pezzetto di terra si fosse spostato… mi giro e oltre lo steccato dell’orto due occhietti neri neri e due orecchiette tonde mi osservano immobili ma tranquille: un delizioso topino di campagna mi saluta e scompare alla  mia vista . Resto immobile ancora due secondi: ne ho incontrato un altro di topino così, nel garage di casa mia in città. Si era gustato i cavi dell’accensione della mia auto per la gioia del meccanico. Non era stato un incontro altrettanto piacevole, avevo anche urlato per o schifo, ma qui no. Ci siamo salutati e quando ho ripreso il mio lavoro ho visto che Topino si era gustato  buona parte del telo di plastica steso l’anno scorso permettendo alle erbacce di crescere! Vabbè, sono troppo stanca per innervosirmi, ne stendo altri nuovi e spero che limitino i danni per l’insalata dell’anno prossimo.
Una cavalletta grigia e corpulenta se ne sta mimetica sullo steccato in attesa me ne vada.
Una lucertolona marrone mi sguiscia sotto i piedi e si infila chissà dove sotto terra: quest’orto che credevamo desolato senza le nostre verdurine brulica di vita e vitalità e mi sento come da bambina quando aiutavo papà a fare l’orto giocando a fare le tane per i lombrichi.

 

Ormai è sera. Ho finito. Il falcetto è al suo posto col badile e la carriola. Le vespe sono tranquille. Le erbacce stanno studiando altre strategie per ricrescere. Il topino pregusta un nuovo PVC. Mentre io osservo il tramonto loro, silenziosi, sono operosi.
Mentre mi sento soddisfatta per la cornicetta pulita fatta intorno al Villino, le Dolomiti imponenti incorniciano il mio sguardo e mi salutano con le prime gocce del classico temporale serale di fine estate.
Mi fa male la schiena, mi duole la spalla, ho anche un po’ di eritema per il troppo sole,  ho le gambe fiacche …ma sto bene! Benissimo!! Questo contatto ravvicinato con tanta piccola ma sorprendente Natura che se la ride dei miei goffi sforzi e della mia presuntuosa inesperienza mi ha fatto bene; mi fa star bene e mi fa desiderare di continuare… mi fa ringraziare le erbacce: senza di loro non avrei scoperto meraviglie che ci circondano e non avrei scoperto e sorriso di  me stessa!

 

E allora  errata corrige:

artigiano s. m. (f. –a) e agg. [der. di arte]. – 1. s. m. Chi esercita un’attività (io)(anche artistica)(le cornicette no?) per la produzione (o anche riparazione)(o la pulizia…) di beni, tramite il lavoro manuale proprio e di un numero limitato di lavoranti (vespe escluse), senza lavorazione in serie (prima di rifarlo ci penserò su), svolta generalm. in una bottega (o in un prato)..

P:S: Traduzione dell’immagine di copertina  : ” fai come la meridiana, conta soltanto le ore serene.” Il tutto con una fantastica cornicetta ricamata da mia mamma mentre io giocavo coi lombrichi.

  1. Oh là!! Si è avverato il mio desiderio!! Sharing!!!!
    Bellissimo leggerti e scoprire che sei quasi un prozac per tanti altri..magari!!! bello come osservi tutto..mi ricordi la Mary e la sua filosofia nata in cucina della serie “è buono perché fatto con tanto amore”.. Non fermarti, begno!

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